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I segreti del Bitto e del Valtellina Casera e gli itinerari migliori per gustarli sul posto: un’estate gustosa!
Il formaggio che verrà ha iniziato la sua stagione d’oro il 20 giugno scorso, con l’annuale risalita delle mandrie al pascolo: 52 in tutto gli alpeggi destinati al solo Bitto DOP (pari a 11.531 ettari) – con circa 3000 bovine da latte, oltre 300 capre, 10 stagionatori – per uno dei formaggi a latte crudo intero tra i più antichi d’Italia, già noto al tempo dei Celti, prodotto da giugno a fine settembre in piccoli caseifici tra i 1.400 e i 2.300 metri di altitudine nella provincia di Sondrio e di Lecco e in alcuni comuni della Val Brembana. Un tesoro lombardo che si affianca al Valtellina Casera Dop, formaggio semigrasso di latteria la cui produzione si concentra, invece, soprattutto nei mesi invernali, quando le mandrie restano a fondo valle.
Due formaggi unici e storicamente complementari, sotto l’egida del Consorzio di Tutela Valtellina Casera e Bitto Dop, che rappresentano un volano fondamentale per l’economia della valle: con un valore alla produzione di 14,5 milioni di euro (+11,1% sul 2020), e circa 25,4 milioni di euro al consumo nel 2021.
A due passi dal cielo
Lassù in alto, dove fioriscono i rododendri e l’erba profuma, durante l’estate le mucche pascolano nella frescura. Clima e ambiente ideali per produrre latte di altissima qualità dal quale hanno origine formaggi con caratteristiche uniche.
Verdi praterie e pascoli erbosi
La monticazione è una pratica antica che sopravvive al trascorrere del tempo. Gli allevatori conducono gli animali in alpeggio, riaprono baite e stalle per vivere un’estate in alta quota. Le mucche trovano pascoli incontaminati con erbe sopraffine per un’alimentazione che garantisce il loro benessere e buon latte.
L’arte dei maestri casari
Narra la leggenda che furono i Celti, scacciati dalla pianura Padana, a rifugiarsi sulle Orobie e a specializzarsi nella caseificazione. Molti secoli sono trascorsi ma nessuno ha dimenticato gli insegnamenti degli avi: manualità e piccoli, grandi segreti che, ancora oggi, consentono la produzione di formaggi dal gusto unico.
Da erbe sopraffine latte e formaggi unici
Il formaggio grasso e semigrasso d’alpe, la ricotta, il burro e, su tutti, il re dei formaggi valtellinesi: il Bitto Dop. Durante i mesi estivi, in alta quota, nasce un prodotto che identifica la tradizione casearia delle montagne di Valtellina e Valchiavenna e la distingue da tutte le altre. Il profumo delle erbe diventa aroma per un gusto irresistibile che tutti gli appassionati del buon mangiare hanno imparato a riconoscere.
Il rispetto della tradizione, il lavoro appassionato che inizia all’alba e termina dopo il tramonto, mucche che vivono serene lontane dall’afa estiva del fondovalle: in alpeggio tutto è magico. Alla fine della giornata la compagnia delle stelle guida pastori e casari verso la notte e il meritato riposo.
Alpeggi
Gli alpeggi della Valgerola. Come quelli della Valtellina in generale, sono denominati in italiano “alpi”, nellla parlata locale, però, sono sempre stati denominati “muunt”. Gli alpeggi attivi, in relazione a dati del 1903, risultano quasi inalterati.
Mentre altrove (in provincia di Sondrio e nelle Alpi lombarde in generale) prevalgono la proprietà comunale o la proprietà “sociale” indivisa, nella Valgerola, pur essendo presenti diverse proprietà comunali e alcune proprietà indivise con numerosi soci comproprietari, la forma prevalente è la proprietà privata individuale o di un numero limitato di comproprietari.
I pascoli delle Valli del Bitto si trovano compresi fra i 1500 e i 2000 m. Solo Stavello si stacca dalla media, un alpeggio ad alta quota con pascoli al di sopra dei 2000 m.
Tra gli investimenti di tempo e fatica profusi nel miglioramento dei pascoli vanno senz’altro citati gli spietramenti. Ogni pietra o ciottolo raccolto corrispondeva a qualche ciuffo d’erba in più per gli animali. La diligente opera di spietramento doveva essere spesso rinnovato per via delle cadute di sassi dai versanti soprastanti il pascolo, dallo spargimento di materiale ad opera delle slavine e delle esondazioni dei torrenti. Con le pietre raccolte si sono edificate le baite, ma anche tante altre strutture che connotano in modo specifico il paesaggio dell’alpeggio.
Il Bàrech rappresenta una struttura primordiale consistente in un recinto di muriccia a secco realizzato in origine presso capanne o ripari sotto la roccia. Tali recinti facilitavano la sorveglianza del bestiame e ne evitavano la dispersione in caso di temporali. Hanno anche la funzione di favorire l'”ingrasso” delle aree migliori che sono intensamente utilizzate.
Il Calecc’, raffigurato nel simbolo dell’Ecomuseo, è assunto ad emblema dell’alpicultura della Vagerola, basata sulla “caseificazione itinerante”. E’ una semplice capanna costituita da un muretto a secco senza copertura fissa. La copertura è costituita da un telone impermeabile sorretto da pertiche e opportunamente ancorato mediante delle corde alla muratura. All’interno del calecc’, in un angolo, si trova il focolare con il supporto girevole per la caldaia del latte. In un altro angolo il paièr (giaciglio dei pastori), realizzato con una rozza intelaiatura in tronchi e un assito grezzo. Nel calecc’ vi sono anche lo spersoio dove vengono appoggiate, per lo spurgo del siero, le forme di bitto e i garocc’ per la maschèrpa. Non manca mai lo scrìgn (bauletto in legno) con gli effetti personali e le scorte di cibo dei pastori.
La Casera non era mai utilizzata per la lavorazione del latte, ma solo per la conservazione dei latticini. La casera tipica della zona è su due livelli: quello inferiore, seminterrato, garantisce un ambiente e temperatura bassa e umidità elevata e costante, idoneo per la stagionatura del Bitto. Il livello superiore (sotto tetto), invece, presentava numerose aperture su più lati atte a favorire il ricambio dell’aria. Questo locale era destinato a mascherpèra, ovvero alla stagionatura delle maschèrpe che richiede un ambiente ben ventilato. La casera era il fabbricato meglio costruito, con spesse pareti in muratura a calce, ed era dotato di spesse porte e di inferriate alle aperture per proteggere il prezioso contenuto.
Nel territorio di Gerola Alta, nell’ambito delle attività legate al centro visitatori “La casa del tempo”, si sviluppano due sentieri tematici che interessano anche gli alpeggi il “Sentiero della memoria” e il “Sentiero del sesto senso dell’Homo Salvadego” Il primo – che interessa l’alpe Trona – è attrezzato con picchetti segnaletici numerati che rimandano alle schede di un “kit didattico” disponibile presso l”’Ufficio informazioni turistiche Pro Loco” di Gerola Alta e ha interesse storico, geologico, naturalistico; il secondo è dotato di pannelli informativi interattivi e interessa alcune stazioni dell’alpe Tronella. Presso diversi alpeggi vi sono dei rifugi che rappresentano, in alcuni casi, anche dei punti tappa della GVO (Grande Via delle Orobie): “Legnone” (alpe Legnone), “Bar Bianco” (alpe Culino), “Trona” (alpe Trona Soliva), “Salmurano” (alpe Pescegallo Foppe), “alpe Lago” e “alpe Piazzo”.
La vocazione delle nostre valli per il turismo escursionistico, in ragione della conformazione orografica e della estesa rete sentieristica, la rinomanza del formaggio Bitto, i numerosi aspetti di interesse storico, etnografici e naturaiistici rappresentano altrettanti elementi in grado di favorire una maggiore integrazione tra la tradizionale attività di alpeggio (con i suoi aspetti zootecnici e caseari) e quella turistica, nelle sue varie componenti escursionistica, gastronomica, educativa.